La presenza del corpo umano, la linea impercettibile che distingue il soggetto dall’oggetto, l’interiorità dall’esteriorità, il conscio dall’inconscio, sono i caratteri che più distinguono il lavoro della fotografa Silvia Sasso.
Nel suo ultimo lavoro, dal titolo “Paura”, l’autrice analizza con estrema delicatezza quel sentimento naturale che è comune a tutti noi e che molto spesso nel corpo della donna diventa una vera e propria presenza ingombrante: la paura appunto.
In attesa che gli scatti possano vedere la luce ed essere condivisi con il pubblico le abbiamo fatto qualche domanda a riguardo.
Paura e corpo femminile. Il tuo lavoro si concentra sul profondo io della donna e cerca di comunicare il suo sentire proprio attraverso quelle macchie, quelle rughe o cicatrici che fanno del corpo una mappa della vita vissuta che tuttavia la società tende a stigmatizzare. Come è nato il lavoro e che cosa l’ha ispirato?
Il lavoro nasce da un progetto sull’archetipo femminile dal titolo “Proiezioni” iniziato diversi anni fa.
Ho voluto provare a spostare il punto di osservazione, ponendomi la questione di che cosa potessero avere in comune elementi naturali come una foglia di verza o una mela con il corpo di una donna. Ho deciso di muovermi per associazioni di caratteristiche e di tipo semantico trovando poi le combinazioni finali.
Si sono poi rivelate ai miei occhi prospettive inattese sul corpo femminile. Da quel momento il progetto “Proiezioni” è diventato per me una matrice originaria, la madre di tutti i lavori che successivamente ho sviluppato tra cui l’ultimo “Paura”.
Fissata l’identità femminile come oggetto di indagine, sorge la curiosità di capire come interagisci con il nudo, e con quei sentimenti di paura e pudore che sorgono nel mostrarsi del corpo femminile?
Una volta avviata la mia analisi del corpo umano femminile, accostato lo stesso a differenti elementi, mi sono resa conto che la coincidenza di corpo e oggetto è propria di questa società. L’ideale della Barbie, la perfezione assoluta che esso rappresenta, diventa in realtà la negazione della vita stessa, delle sue mutazioni. In questo senso ho voluto utilizzare il corpo delle mie modelle come simbolo di liberazione facendo compiere loro gesti liberatori. La volontà è stata quella di lasciare andare le catene dei pregiudizi spogliandosi di abiti e paure.
Un’ultima domanda. Come stai vivendo questo periodo di distanziamento e dolore sociale? Credi che da questo tempo “sospeso” ne usciranno nuovi progetti fotografici?
Ad essere sincera piuttosto bene. Nonostante i primi momenti “faticosi” di adattamento ad una vita più intima e a un ritmo più lento, per la prima volta ho avuto la possibilità di fermarmi. Così facendo ho potuto cogliere l’humus di questo particolare periodo che, seppur doloroso, è molto ricco di spunti di riflessione. Inoltre, durante il secondo periodo di lockdown, ho iniziato a fare un lavoro fotografico in cui per la prima volta (per necessità dovute al distanziamento sociale) mi sono messa davanti al mio stesso obbiettivo. Accolgo questa come una nuova opportunità.